Anno | 2024 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Gran Bretagna, Germania, Grecia, Francia, USA |
Durata | 131 minuti |
Regia di | Athina Rachel Tsangari |
Attori | Caleb Landry Jones, Harry Melling, Frank Dillane, Rosy McEwen, Arinzé Kene Thalissa Teixeira, Stephen McMillan, Grace Jabbari, Emma Hindle, Mitchell Robertson. |
Distribuzione | I Wonder Pictures |
MYmonetro | 2,29 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 3 settembre 2024
Un uomo reagisce con violenza all'arrivo di tre nuove persone all'interno del suo villaggio.
CONSIGLIATO NÌ
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Siamo in Inghilterra alla vigilia della cosiddetta rivoluzione industriale. Una piccola comunità agricola vive relativamente in pace, tenuta insieme, più che dalla debole guida del padrone della terra, Charles Kent, da un sistema di tradizioni e superstizioni e da una radicata abitudine al lavoro duro. L'arrivo, più o meno contemporaneo, di un cartografo incaricato di mappare il territorio, di un trio di sgraditi stranieri, e di un signorotto cittadino (padron Jordan) che reclama il dominio su quel feudo, è destinato a cambiare le cose per sempre.
Lo sguardo del film è affidato al personaggio di Walt Thirsk, interpretato da un magnetico Caleb Landry Jones, amico d'infanzia di padron Kent, giunto con lui da altrove, e dunque destinato a non venire mai veramente percepito come appartenente a quella terra, per quanto gli si sia votato come tutti gli altri e forse più.
Un narratore in una posizione di outsider, dunque, ma anche, in un certo senso, di profeta, capace di presagire la disgrazia e adorare la fortuna, che in quel luogo coincide con la meraviglia offerta dalla natura. Non c'è Eden, però, laddove c'è l'uomo, sembra voler dire la regista di Attenberg, etologa di una razza senza giudizio: perché la natura umana, quando organizzata in società, porta appunto con sé il sospetto per tutto ciò che è diverso e la tendenza a delimitare e proteggere i confini, con la violenza se necessario. Per il suo quinto lungometraggio, Athina Rachel Tsangari attinge al romanzo omonimo del britannico Jim Crace, che torna a un periodo lontano e poco esplorato della storia del paese: il passaggio dall'agricoltura di sussistenza alla logica del profitto (in particolare nella produzione della lana) per inscenare un apologo sul potere (e l'altra faccia dello stesso, l'impotenza) e denunciare una rivoluzione senza rivoluzionari.
Sfortunatamente, nell'adattamento per lo schermo, il racconto da poetico si fa confuso e tematicamente caotico. Le istanze ambientaliste (la necessità, derisa da padron Jordan, di piantare alberi anche solo per avere l'ombra) si sovrappongono a quelle sociali e antropologiche, sovraccaricando la bussola al punto che non si è più certi della direzione verso la quale la regista stia spingendo il suo racconto. Pittorico, organizzato e fotografato come un arazzo istoriato, il film sembra addirittura condannare l'evoluzione da uno stato primitivo di ignoranza del mondo a un sistema di pensiero che contempla l'astrazione, perché responsabile, suo malgrado, di una perdita dell'innocenza che non ha rimedio. Proposto come un western anticapitalista, Harvest appare piuttosto come una parabola atemporale e scontata, che manca della dose minima necessaria di ironia, e sottomette il pensiero al potere dell'immagine.
In un villaggio inglese del secolo 16., soggetto ad un regime di agricoltura tradizionale e comunitaria e guidato dal bonario signor Kent, l'arrivo di un proto-capitalista (il cugino Jordan, deciso ad espropriare la terra, che è sua, ai contadini), di un cartografo che disegna la terra e i suoi confini e di tre viandanti identificati come piromani e ladri (forse ingiustamente) scatena una [...] Vai alla recensione »
Da Il raccolto di Jim Crace, l'atteso ritorno di Tsangari. Qui siamo in una Scozia astorica, in un mondo agricolo al tramonto, in una terra sterile. Con lo sguardo (come sempre) alle dinamiche di potere di una società chiusa, il passo della paraboletta marxista, e il 16 mm di Sean Price Williams a giocare con gli attori, aprire la fiction verso il teatro e fare tanto «cinema alla moda» (Tsangari, acuta, [...] Vai alla recensione »
Lo sguardo di Athina Rachel Tsangari si perde estatico all'inseguimento/pedinamento di Walter Thirsk, che si muove tra l'erba alta, accoglie sulla sua mano una farfalla, si immerge in uno specchio d'acqua. Principia così Harvest, quarto lungometraggio della cineasta greca che arriva a quasi un decennio di distanza dal precedente Chevalier e che segna il suo allontanamento dalla madre patria per cercare [...] Vai alla recensione »
Rischia così di scomparire l'altro film odierno in Concorso: "Harvest" della greca Athina Rachel Tsangari. In un villaggio rurale non definito, l'incipiente modernità, che arriva da lontano, distrugge in modo brutale un mondo che si reggeva sui propri atavici equilibri. Caleb Landry Jones cannibalizza al solito la scena, cercando una centralità che il film al contrario nega.
A quattordici anni di distanza da Attenberg (2010), Athina Rachel Tsangari torna in Concorso al festival che la consacrò autrice di statura internazionale presentando Harvest, una parabola agreste sul crepuscolo della civiltà preindustriale che, al di là di etichette di genere poco appropriate - la stessa regista l'ha definito un «western tragicomico», con forse non troppa cognizione di causa -, fatica [...] Vai alla recensione »
"Con questo adattamento del romanzo Harvest di Jim Crace abbiamo avuto la possibilità di esaminare il momento in cui tutto ha avuto inizio per noi che nel XXI secolo siamo eredi di una storia universale di perdita della terra. Per me, Harvest è un film sulla resa dei conti. Cosa abbiamo fatto? In che direzione stiamo andando?". Cinematograficamente alla deriva, gentile Athina Rachel Tsangari.