Anno | 2021 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Canada |
Durata | 81 minuti |
Regia di | Caroline Monnet |
Attori | Devery Jacobs, Brigitte Poupart, Jacob Whiteduck-Lavoie, Joséphine Bacon Charles Bender, Pascale Bussières, Jacques Newashish, Brenda Odjick, Joshua Odjick, Dominique Pétin, Samian. |
MYmonetro | Valutazione: 2,50 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 25 gennaio 2023
Una ragazza torna in Québec nella comunità degli algonchini dove dovrà fare i conti con emarginazione e pregiudizi.
CONSIGLIATO NÌ
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Mani studia giurisprudenza all'università di Montréal ed è in procinto di concludere la tesi. La relatrice le consente una proroga alla consegna per arricchire l'elaborato con una ricerca sul campo: dovrà quindi tornare nelle riserve indiane del Québec per intervistare alcuni membri della comunità degli algonchini, in cui è cresciuta. Ospite dei nonni, Mani si ritroverà a fare i conti con il suo passato e ad essere coinvolta in un acceso dibattito per la legalizzazione della vendita di alcolici. Sarà quindi promotrice di un referendum che risveglierà vecchi contrasti, mentre dovrà fare i conti con la contrabbandiera Laura, una donna dura ed emarginata.
Bootlegger è uno sguardo penetrante su una comunità complessa ed emarginata che deve fare i conti con le trasformazioni imposte dallo scorrere del tempo.
Il fascino del film diretto dalla regista e artista franco-canadese Caroline Monnet si deve soprattutto al tema indagato. La cultura e la storia degli algonchini appaiono cupe e misteriose, soprattutto dal punto di vista di uno spettatore europeo, che potrebbe conoscere poco o per nulla le tradizioni degli indiani nativi del Québec. In soli ottanta minuti, Monnet riesce infatti a delineare un quadro ricco e ammaliante della comunità degli algonchini canadesi. Senza accorgersene, con leggerezza, lo spettatore riceve moltissime informazioni riguardo ai nativi del Canada: il culto degli antenati e il rispetto per gli anziani, grazie alla presenza dei nonni di Mani e all'insolita assenza dei suoi genitori; l'importanza delle renne, che affonda le proprie radici in racconti mitologici di origine antica tramandati oralmente per generazioni; il riferimento alla pesca e alla caccia, attività cui gli algonchini si sono sempre dedicati. Ma non finisce qui, Bootlegger parla anche dei pregiudizi che alcuni canadesi nutrono nei confronti dei nativi, tra cui l'idea che siano alcolizzati e contrabbandieri di sigarette, oltre che poco rispettosi delle tradizioni del Québec. Gli algonchini appaiono infatti soli ed emarginati: regia e fotografia riescono insieme a creare un'atmosfera di forte desolazione, al contempo cupa e misteriosa. In una narrazione che parla di solitudini emerge la figura di Laura, emarginata tra gli emarginati perché bianca e dedita ad attività considerate criminali all'interno della comunità. Il commercio di alcolici è infatti vietato tra gli algonchini e il dibattito sulla sua legalizzazione diventa metafora del divario tra generazioni. Giovani e anziani appaiono molto distanti, persino linguisticamente. La forte incomunicabilità tra vecchi e nuovi nativi passa anche attraverso la mancanza di una lingua condivisa: i più giovani tendono infatti a parlare francese e non tutti conoscono l'idioma algonchino, oggi considerato in pericolo di estinzione. Ma a rischio di estinzione potrebbe essere l'intera cultura algonchina, forse incapace di tenere il passo con le trasformazioni del presente.
Questo il tema su cui il film pone il più penetrante interrogativo: emblematicamente racchiusa nel misterioso esito del referendum sulla legalizzazione degli alcolici, la domanda è se i cambiamenti possano o meno consentire la sopravvivenza delle tradizioni algonchine. Si può cambiare rimanendo quello che si è oppure le trasformazioni implicano necessariamente la morte di qualcosa - in questo caso di una cultura - e la nascita di qualcos'altro, qui un'omologazione alle nuove usanze canadesi? Quesiti di non facile risposta quelli posti da Caroline Monnet, che hanno il pregio di dispiegarsi all'interno di un racconto dall'atmosfera magnetica e avvolgente. Si fanno notare anche alcuni guizzi di regia particolarmente riusciti, come l'idea di mostrare a schermo i riflessi sul parabrezza di due passeggeri di un'auto, incastonandone così i volti all'interno del gelido paesaggio invernale della riserva algonchina. Un'immagine, questa, capace di restituire il senso di solitudine e freddezza in cui sembra vivere la comunità di nativi, isolati e mal visti dal resto della popolazione canadese. Peccato però per lo scarso approfondimento dei personaggi e delle dinamiche interpersonali, ulteriormente penalizzato dalla qualità dei dialoghi, spesso poco verosimili e scarsamente incisivi. La poetica e il fascino della storia raccontata avrebbero meritato protagonisti più solidi, arricchendo così di umanità un racconto che risveglia l'interesse ma senza lasciare il segno.
Uno sguardo penetrante su una comunità complessa ed emarginata che deve fare i conti con le trasformazioni imposte dallo scorrere del tempo. Il fascino del film diretto dalla regista e artista franco-canadese Caroline Monnet si deve infatti soprattutto al tema indagato.
La cultura e la storia degli algonchini appaiono cupe e misteriose, soprattutto dal punto di vista di uno spettatore europeo, che potrebbe conoscere poco o per nulla le tradizioni degli indiani nativi del Québec. Parla anche dei pregiudizi che alcuni canadesi nutrono nei confronti dei nativi, tra cui l’idea che siano alcolizzati e contrabbandieri di sigarette, oltre che poco rispettosi delle tradizioni del Québec.
Gli algonchini appaiono infatti soli ed emarginati: regia e fotografia riescono insieme a creare un’atmosfera di forte desolazione, al contempo cupa e misteriosa. In una narrazione che parla di solitudini emerge la figura di Laura, emarginata tra gli emarginati perché bianca e dedita ad attività considerate criminali all’interno della comunità.
Uno dei due lungometraggi presentati in anteprima italiana nel corso della diciannovesima edizione delle Giornate del Cinema Quebecchese in Italia è l'interessante Bootlegger, opera dal taglio antropologico che segna l'esordio alla regia sulla lunga distanza dell'artista multimediale Caroline Monnet. La giovane Mani, nativa nordamericana fresca di laurea in giurisprudenza ottenuta brillantemente, [...] Vai alla recensione »