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Ultimo aggiornamento lunedì 30 novembre 2015
Chuck Workman racconta lo straordinario talento di Orson Welles e l'enigma della sua carriera come star di Hollywood.
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Dall'adolescenza alla morte la carriera di Orson Welles rivive in Il mago attraverso documenti inediti, sequenze dei suoi film, spezzoni di interviste televisive e le testimonianze di colleghi, amici ed estimatori.
Il film di Chuck Workman può vantare diversi meriti. Quello di riuscire ad affrontare un tema controverso come pochi altri, ritrarre la figura di Orson Welles, e uscirne tutto intero, intrattenere, regalare qualche chicca per i più curiosi e soprattutto avvicinare i neofiti all'universo dell'autore maledetto per antonomasia. Pregi tali da far svanire i difetti, indubbiamente presenti in un'operazione che privilegia i binari della convenzionalità, tanto nella struttura che nel contributo critico. Unico caso in cui Il mago - L'incredibile vita di Orson Welles prova a lasciare il suo marchio sull'opera del maestro quando affronta una delle perle più rare del regista, quel Falstaff su cui Simon Callow afferma "il suo capolavoro, finalmente", glissando con malcelato snobismo su Quarto potere. Accenno discutibile che potrebbe far apparire Il mago come un'operazione a tesi, ma che resta un caso isolato: per il resto Workman svolge abilmente il suo compito, consegnando l'eredità Welles alle parole illustri di Jonathan Rosenbaum, Richard Linklater (autore di Me and Orson Welles, un biopic sui primi anni di Welles al Mercury Theatre), Peter Bogdanovich, Martin Scorsese e William Friedkin.
Il montaggio incalzante corre velocemente sulla sezione più suggestiva e meno nota, quella degli inizi di carriera, regalando una singolare rappresentazione di un Voodoo Macbeth interpretato solo da attori di colore e ricostruendo l'impatto sulla gente della celeberrima recitazione radiofonica de "La guerra dei mondi", scambiata per cronaca di un'invasione marziana.
Parentesi di Callow a parte, Workman si occupa copiosamente di Quarto potere e delle traversie produttive che ad esso seguiranno, rivelando gustosi aneddoti sulle traversie de L'orgoglio degli Amberson e sulla genesi de La signora di Shangai. La sezione finale sostituisce alle testimonianze sulla vita di Welles le apparizioni pubbliche dello stesso, perlopiù già note, dimostrando gli effetti della maledizione gravata su di lui, tale da imprigionarlo in un personaggio e allontanarlo dal perseguimento di una carriera potenzialmente ancor più rivoluzionaria.
Ben lungi dal rappresentare qualcosa di definitivo su un uomo dal talento così ingombrante da non poter essere in alcun modo compreso nella sua pienezza, il documentario di Chuck Workman evade solo per pochi attimi dal proprio diligente compito, trovando nella sua umiltà l'unico antidoto possibile all'ingestibile gigantismo wellesiano.