|
Ultimo aggiornamento lunedì 22 dicembre 2014
Un regista di film horror ha 48 ore di tempo per trovare il "grido perfetto", un requisito essenziale per ottenere che il suo nuovo film venga prodotto.
CONSIGLIATO SÌ
|
Una bambina in una casa di campagna vede il padre squartare un cinghiale dalle cui interiora fuoriesce un videocassetta VHS. Intanto il conduttore di un programma culinario televisivo viene assalito da un eczema immaginario che lo spinge a grattarsi nel corso delle riprese. Uno dei cameramen del set, con velleità registiche, si reca da un produttore per proporgli il soggetto di un film. Otterrà un ok a patto che riesca a produrre un gemito di dolore mai sentito prima.
Quentin Dupieux ci ha ormai abituati ad attenderci dai suoi film ogni volta un campionario di stranezze. Che si tratti dello pneumatico attore protagonista di Rubber o dei politically really uncorrected di Wrong Cops il bisogno di stupire lo pervade fino nel midollo del suo fare cinema. In questa occasione, optando esplicitamente per la piattezza visiva più accentuata, punta le sue fiches a livello di sceneggiatura avviando un gioco di scatole cinesi di cui pare non avere il totale controllo logico. La cosa non sembra però preoccuparlo minimamente perché ciò che più lo interessa è il gioco dei rimandi interni che contribuiscono a fare dello script una sorta di manifesto escheriano in tono minore. Una vicenda si inserisce nell'altra per ritrovarsi a sua volta riproiettata all'interno di una dimensione imprevista così come accade nei più volte citati sogni o incubi. Che la bambina sia in realtà non tanto colei che guarda ma oggetto di visione (è lei che si chiama Reality) e che a sua volta sia spettatrice di situazioni che consideravamo del tutto aliene dalla sua vicenda poco importa.
Alla fine della visione ci si accorge di essere stati a nostra volta spettatori di un piccolo pamphlet sul mondo dei media che ci ha guidati per mano per strade obbligate impedendoci qualsiasi intervento di carattere individuale. Un gioco piacevole ma anche un po' sterile.
Sognante e (sul) sognato, si allontana gradualmente da ogni forma seppur lieve di concretezza, arrivando ad una strutturazione del tutto gassosa e sfuggente, ma abilmente adeguata alla materia trattata. Narrativamente indefinibile, più che incastrarsi, i brani finiscono per amalgamarsi e confondersi, in un ammasso gelatinoso oramai indivisibile, nel quale ogni tentativo di compendio razionale finisce [...] Vai alla recensione »