giulio andreetta
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domenica 24 novembre 2019
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capolavoro della maturità di wenders
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Al solito di fronte alla bellezza le parole appaiono inadeguate. Una pellicola che racconta le peripezie di due angeli che osservano dall'alto, oppure ad altezza d'uomo, le vicissitudini degli altri. Entrano per così dire nella loro mente, diventano spettatori, spesse volte, dei drammi interiori, nascosti, destinati a rimanere inespressi, di persone comuni, di quegli eroi del quotidiano che nessuno ricorda o ricorderà. Sono interessati ad "origliare" ciò che pensano gli uomini non per curiosità, come un'interpretazione superficiale potrebbe suggerire, ma per cogliere quella singolarità che appartiene ad ognuno di noi e che ci qualifica come esseri umani, irripetibili.
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Al solito di fronte alla bellezza le parole appaiono inadeguate. Una pellicola che racconta le peripezie di due angeli che osservano dall'alto, oppure ad altezza d'uomo, le vicissitudini degli altri. Entrano per così dire nella loro mente, diventano spettatori, spesse volte, dei drammi interiori, nascosti, destinati a rimanere inespressi, di persone comuni, di quegli eroi del quotidiano che nessuno ricorda o ricorderà. Sono interessati ad "origliare" ciò che pensano gli uomini non per curiosità, come un'interpretazione superficiale potrebbe suggerire, ma per cogliere quella singolarità che appartiene ad ognuno di noi e che ci qualifica come esseri umani, irripetibili. Senza di loro tutto ciò andrebbe perso per sempre. Attori quasi sempre convincenti, nel difficile compito di interpretare un film così così complesso, dalle varie sfaccettature. Ma ciò che colpisce più di tutto è la maestria di Wenders nel dirigere la macchina da presa, nel sapiente montaggio, in una originalissima sceneggiatura. Bellissima, poi, l'idea di utilizzare il bianco e nero, contrapponendolo, in alcuni tratti, al colore. Un film che sicuramente ha ancora molto da dire e che continuerà a dire molto in futuro. Un film profondo che non ha paura di interrogarsi, come fa un bambino, sui più grandi interrogativi che da sempre l'uomo si è posto. Un film ambizioso, che rappresenta un vero e proprio affresco di un'umanità dolente, come quella di oggi, al tramonto di ogni rassicurante ideologia. Non a caso il muro sarebbe caduto solo due anni dopo. Un film che finalmente racconta la contemporaneità, con tutti i suoi dubbi, le incertezze, la solitudine, il senso di estraneità e sradicamento sociale. Insomma, un capolavoro.
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rmarci 05
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mercoledì 26 giugno 2019
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implicito, poetico, suggestivo, espressionista
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Esponente del Nuovo Cinema Tedesco, Wim Wenders realizza un film di stampo profondamente espressionista, in cui non è importante la narrazione della storia in sé, a tratti prolissa, ma conta soprattutto l’abile miscela di suoni, colori, penombre, colonna sonora e voci sovrapposte che, suggestionando lo spettatore e trasmettendogli molte sensazioni più che emozioni vere e proprie, lo immergono nel clima decadente, logoro e svuotato di qualsiasi umanità della Berlino negli anni ‘80, una città segnata nel profondo dalle indelebili cicatrici lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale e dal Muro di Berlino, situazione perfettamente illustrata attraverso il fascino poetico del bianco e nero, la recitazione essenziale ed i dialoghi ridotti all’osso.
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Esponente del Nuovo Cinema Tedesco, Wim Wenders realizza un film di stampo profondamente espressionista, in cui non è importante la narrazione della storia in sé, a tratti prolissa, ma conta soprattutto l’abile miscela di suoni, colori, penombre, colonna sonora e voci sovrapposte che, suggestionando lo spettatore e trasmettendogli molte sensazioni più che emozioni vere e proprie, lo immergono nel clima decadente, logoro e svuotato di qualsiasi umanità della Berlino negli anni ‘80, una città segnata nel profondo dalle indelebili cicatrici lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale e dal Muro di Berlino, situazione perfettamente illustrata attraverso il fascino poetico del bianco e nero, la recitazione essenziale ed i dialoghi ridotti all’osso. Per questo hanno una grande importanza le singole storie dei personaggi, donne e uomini afflitti da un costante senso di spaesamento e tragica depressione che pensano spesso di risolvere con il suicidio. Sono osservati dall’alto, quindi da lontano e con sguardo distaccato, dagli angeli custodi, che comunicano con loro senza essere visibili. Quando uno dei due, però, diventerà umano perché innamorato di una donna, non osserverà più la realtà, ma potrà viverla, scoprendo quindi che, sotto il velo di disperazione che avvolgeva la città di Berlino in quel periodo, si nasconde un barlume di vitalità e di speranza riposto proprio nelle persone. Inoltre, c’è anche la “preoccupazione”, da parte del regista, che Dio ci osservi in qualunque momento e possa leggere tutti i nostri pensieri, cogliendo ogni singola emozione. In conclusione, un film metaforico, implicito ma non incomprensibile, ricco di riferimenti alla poesia di Omero, che concilia perfettamente sentimenti opposti come decadenza e vitalità, disperazione e speranza, malinconia e tenerezza. Imperdibile per i cinefili, ma non è un film adatto al grande pubblico. Mi permetto di dare un consiglio a chi lo vorrà vedere: non vi sforzate di capirlo in tutte le sue sfumature, semplicemente lasciatevi trasportare.
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alejazz
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lunedì 4 marzo 2019
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gli angeli provano sentimenti?
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Nel cielo di Berlino non ci sono solo nuvole e volatili ma anche angeli. Essi guardano dall’alto la vita frenetica dei mortali, seguono i loro pensieri e quando possono riescono a lenire le loro sofferenze appoggiando delicatamente una mano sulla loro spalla. Tra questi angeli ci sono Damiel (Bruno Ganz) e Cassel (Didier Flamand). Il primo non riesce più a restare impassibile al suo stato di angelo ma vuole capire di più i mortali e provare le loro emozioni, le passioni e difficoltà che vivono quotidianamente. Grazie a Marion (Solveig Dommartin), una trapezista e a Peter Falk (l’attore interpreta se stesso), Damiel prende coraggio ed effettua (ultimi 30’ della storia) il passaggio da angelo a comune mortale percependo finalmente nuove sensazioni che non conosceva prima.
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Nel cielo di Berlino non ci sono solo nuvole e volatili ma anche angeli. Essi guardano dall’alto la vita frenetica dei mortali, seguono i loro pensieri e quando possono riescono a lenire le loro sofferenze appoggiando delicatamente una mano sulla loro spalla. Tra questi angeli ci sono Damiel (Bruno Ganz) e Cassel (Didier Flamand). Il primo non riesce più a restare impassibile al suo stato di angelo ma vuole capire di più i mortali e provare le loro emozioni, le passioni e difficoltà che vivono quotidianamente. Grazie a Marion (Solveig Dommartin), una trapezista e a Peter Falk (l’attore interpreta se stesso), Damiel prende coraggio ed effettua (ultimi 30’ della storia) il passaggio da angelo a comune mortale percependo finalmente nuove sensazioni che non conosceva prima.
Il film scorre lentamente; girato quasi completamente in bianco e nero (nonostante siamo alla fine degli anni ’80). Non si tratta di una soluzione stilistica; i colori accompagnano l’evoluzione del personaggio di Damiel; il bianco e nero mostra la vita piatta dell’angelo priva di emozioni e sentimenti. I colori entrano in gioco inizialmente negli attimi di astrazione dall’essere angelo ma poi definitivamente quando Damiel diviene un mortale.
Una caratteristica de “Il cielo sopra Berlino” è rappresentata dalla costante presenza di voci fuori campo: sono i pensieri a voce alta delle persone che gli angeli incontrano e ne fanno un’indagine introspettiva per poter essere per loro da supporto. I pensieri appartengono a persone di classi sociali ed età diverse. Vi sono, infine, pochi dialoghi tra i personaggi (in senso stretto).
All’inizio della pellicola il compito degli angeli risulta poco chiaro e offuscato. E’ necessario giungere a circa quasi metà del film per comprendere meglio la loro funzione e missione.
La scenografia mette in rilievo la città di Berlino (in quel periodo ancora divisa dal muro). A differenza però di quanto ci si aspetta, il regista Wim Wenders mette in luce i punti più marginali della capitale tedesca ovvero quelle zone meno note al turista. Tuttavia il primo piano della statua, in cima dalla Colonna della Vittoria, l'"Angelo d’Oro” ha un duplice ruolo: assonanza con il concetto di angelo, filo conduttore della storia, e identificazione della città di Berlino.
La fotografia è curata discretamente. Nulla di eccezionale da osservare se non un paio di momenti: i) la scena dello stormo d’uccelli che si muove in modo coordinato che regala una bell’immagine e ii) la scena in cui gli occhi dello spettatore diventano per un attimo gli occhi dell’angelo Damiel che ascolta i pensieri dei viaggiatori della metro.
Infine il montaggio regge la continua alternanza di spezzoni in b/n e a colori. Lavoro non semplice considerando la tecnologia che era a disposizione negli anni ’80.
Consigliato: Sì a pubblico +13
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onufrio
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giovedì 11 ottobre 2018
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angeli sopra berlino
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Anni 80, due angeli sorvegliano gli abitanti di Berlino, soffermandosi su alcune persone tra le quali spiccano l'attore americano Peter Falk ed una bella circense di nome Marion. Un mondo visto in bianco e nero che a tratti si colora. Manifesto post bellico di pace e fratellanza, diretto magistralmente da Wim Wenders. Spiegare il film con un trama è a dir poco riduttivo, bisogna guardarlo.
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stefanocapasso
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lunedì 27 agosto 2018
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il peso della vita e l'amore
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Nel cielo di Berlino gli angeli assistono alle vicende degli esseri umani: ascoltano i loro monologhi interiori, le loro paure, i grandi e piccoli problemi della vita e quando possono alleviano le loro sofferenze. In particolare Damiel e Cassiel si incontrano spesso per tirare le somme della loro attività e confidarsi. Damiel vorrebbe partecipare alla vita in modo diverso ed è la conoscenza di Marion, una giovane trapezista, che lo spinge al grande passo.
Wim Wenders riflette sulla vita partendo da testi di Rilke, e lo fa con una narrazione lirica sempre in bilico tra la soggettiva dell’angelo e l’oggettività dello spettatore. Con il bianco e nero letteralmente disegna la vita degli angeli priva di colori e sapori, una vita che pur essendo ricca di partecipazione e di ascolto è priva di quel peso che le vicende umane portano con se e che danno il reale senso della vita.
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Nel cielo di Berlino gli angeli assistono alle vicende degli esseri umani: ascoltano i loro monologhi interiori, le loro paure, i grandi e piccoli problemi della vita e quando possono alleviano le loro sofferenze. In particolare Damiel e Cassiel si incontrano spesso per tirare le somme della loro attività e confidarsi. Damiel vorrebbe partecipare alla vita in modo diverso ed è la conoscenza di Marion, una giovane trapezista, che lo spinge al grande passo.
Wim Wenders riflette sulla vita partendo da testi di Rilke, e lo fa con una narrazione lirica sempre in bilico tra la soggettiva dell’angelo e l’oggettività dello spettatore. Con il bianco e nero letteralmente disegna la vita degli angeli priva di colori e sapori, una vita che pur essendo ricca di partecipazione e di ascolto è priva di quel peso che le vicende umane portano con se e che danno il reale senso della vita. Recuperare l’innocenza, la spontaneità e l’entusiasmo dello sguardo infantile, insieme alla memoria storica dei fatti accaduti è un processo fondamentale perché l’amore si manifesti dando una diversa possibilità a Damiel. Perché le passioni, il dolore, la fatica dell’uomo sono una ricchezza che vale sempre la pena vivere
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il befe
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lunedì 9 marzo 2015
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capolavoro
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epassp
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giovedì 19 febbraio 2015
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lo pensavo più coinvolgente
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Nulla da dire, il film è fatto bene e, l'ambientazione (Berlino 1987), è alquanto suggestiva (specie per chi ha visitato questa città), ma non mi ha "trascinato". Forse un po' troppo lungo e cervellotico: non di rado capita di perdere il "filo" del film e diventa praticamente impossibile coglierne tutte le sfumature verbali.
Film che richiede molta "concentrazione" e non adatto a chi si vuole "svagare".
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lucaguar
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venerdì 14 novembre 2014
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un viaggio nelle anime
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Wim Wenders ci presenta una figura allegorica e non certo stereotipata degli angeli. Essi ci vengono rappresentati in forma umana, come uomini in bianco e nero che vegliano sugli umani e penetrano nelle loro anime leggendone pensieri, angosce ed emozioni. Questi angeli però vivono nel silenzio e nella più totale impossibilità di interagire con il mondo e spesso provano invidia per la condizione umana: essi vorrebbero vivere la vita attivamente, immersi nei dubbi, nei piaceri e persino nei dolori tipici dell' umano anzichè vivere nell'onniscenza, nel silenzio e nell'invisibile delle realtà eterne.
Per tutta la durata del film, senza sostanziali cambi di "tono", si viene trasportati in una profonda analisi della solitudine e della angoscia umana svolta attraverso un piglio totalmente introspettivo e personale.
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Wim Wenders ci presenta una figura allegorica e non certo stereotipata degli angeli. Essi ci vengono rappresentati in forma umana, come uomini in bianco e nero che vegliano sugli umani e penetrano nelle loro anime leggendone pensieri, angosce ed emozioni. Questi angeli però vivono nel silenzio e nella più totale impossibilità di interagire con il mondo e spesso provano invidia per la condizione umana: essi vorrebbero vivere la vita attivamente, immersi nei dubbi, nei piaceri e persino nei dolori tipici dell' umano anzichè vivere nell'onniscenza, nel silenzio e nell'invisibile delle realtà eterne.
Per tutta la durata del film, senza sostanziali cambi di "tono", si viene trasportati in una profonda analisi della solitudine e della angoscia umana svolta attraverso un piglio totalmente introspettivo e personale. Ci vengono presentate, sotto la guida silente degli angeli, le aspettative, le speranze, le paure ed i pensieri più o meno profondi che le persone si trovano a vivere in una Berlino post moderna resa distaccata, caotica ed irrazionale dalla Guerra Fredda che sta giungendo alla fine.
A mio avviso il tema cardine di tutto il film è la critica alla superficialità, in cui oggi, in un mondo post moderno disincantato, sempre più caotico e dominato dalla merce, gli esseri umani sono costretti a vivere, ma che, dice Wenders, non è certo una condizione naturale e che la tensione di fondo dell'essere umano già cresceva dentro di noi "quando il bambino era bambino", attraverso una visione del mondo più vera e non contaminata dal futile, dall'ipocrisia e dalla retorica, e in cui sorgevano spontaneamente le prime, semplici ma sostanziali domande filosofiche: chi sono io? perchè sono qui e non là? ecc.
In questo contesto l'angelo Damiel, stanco della condizione di spettatore ed estraneo alla vita, decide di incarnarsi, spinto dall'amore di una trapezista del circo, avendone constatato la nobiltà, ma anche la fragilità d'animo.
Tornato al mondo egli vive come se fosse la prima volta, apprezzando le piccole cose della vita come bere un caffè, sfregarsi le mani per il freddo o anche solo la capacità che ora ha di distinguere i colori: questo secondo me è un altro grandissimo insegnamento di questa fantastica pellicola.
Lo stile adottato da Wenders è certamente atipico per un film girato alla fine degli anni Ottanta ma, si sa, le grandi opere (perchè questa senza alcun dubbio lo è) non fanno i conti con il tempo. Il bianco e nero che per quasi tutto il film imperversa è delicato, malinconico e toccante; l'atmosfera è direi quasi metafisica e le bellissime musiche di sottofondo che incontrano spesso le voci delle menti delle persone creano un misto di disagio e di disorientanento da un lato e di sensazione onirica e profondamente introspettiva dall'altro.
La scelta del colore (a tratti quasi simile al vecchio technicolor) per narrare le vicende umane non è certo un caso e ci fa intuire la "metafisica al contrario" di Wenders, in cui l'angelo si incarna per amore del mondo e della vita, manifestando chiaramente l'idea che già nell'uomo vi è un pezzo di divino e che ci fa capire di amare il mondo nonostante le sue contraddizioni e difficoltà e che nonostante tutto la vita (se non altro per l'amore, come ci mostra l'ultima sequenza) vale la pena di essere vissuta. Senza dubbio un'opera di notevole spessore estetico e contenutistico.
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toty bottalla
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martedì 26 novembre 2013
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idea cruda e surreale tra fantasia e realtà!
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Tra il perimetro di un muro ormai fragile, una storia impegnativa un pò poetica e surreale, un viaggio tra i sentimenti umani visti da due angeli che, impotenti, assistono al travaglio terrestre senza sconti nè aiuti, quelli che invece da un angelo ti potresti aspettare, la presenza nel film di peter falk (che adoro) sembra forzata e la sua storia nel racconto poco credibile, io la vedo come uno sputtanamento gratuito del personaggio mitico del tenente colombo, è un film che però si presta a varie interpretazioni sul fatto umano, un film curioso, atipico che va visto. Saluti.
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iacopo1992
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martedì 23 luglio 2013
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capolavoro di "spessore"
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Il film è ovviamente un capolavoro indiscusso. Un "cult" che ognuno dovrebbe vedere: una geniale introspezione nell'animo dell'uomo, una finestra verso il destino. Il tutto accompagnato da una musica impeccabile, melodrammatica, per certi versi ansiogena ed angosciante (come ogni esistenza umana). L'unica pecca, scontata per film di questo "spessore" culturale, è la pesantezza generale: il ritmo troppo lento, i dialoghi troppo alti e pretenziosi. Credo comunque che ciò sia imprescindibile dal film, non essendo una pellicola da vedere ogni 15 giorni, poiché una leggerezza nella trama e nei particolari avrebbe snaturato l'idea globale dell'opera.
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Il film è ovviamente un capolavoro indiscusso. Un "cult" che ognuno dovrebbe vedere: una geniale introspezione nell'animo dell'uomo, una finestra verso il destino. Il tutto accompagnato da una musica impeccabile, melodrammatica, per certi versi ansiogena ed angosciante (come ogni esistenza umana). L'unica pecca, scontata per film di questo "spessore" culturale, è la pesantezza generale: il ritmo troppo lento, i dialoghi troppo alti e pretenziosi. Credo comunque che ciò sia imprescindibile dal film, non essendo una pellicola da vedere ogni 15 giorni, poiché una leggerezza nella trama e nei particolari avrebbe snaturato l'idea globale dell'opera.
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