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Un film di Federico Fellini.
Con Alvaro Vitali, Fiona Florence, Britta Barnes, Pia De Doses, Renato Giovannoli.
continua»
Commedia,
durata 120 min.
- Italia 1972.
MYMONETRO
Roma |
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2) l'alterità, la donna, il sesso in Fellini
di Francesco Di BenedettoFeedback: 0 |
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mercoledì 17 maggio 2006 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
...(segue dalla prima parte) Vorrei ora suggerire qualche spunto d’analisi su Roma, forse il film simbolo di questo atteggiamento propositivo e vitale di slancio ed immersione totale all’interno del reale, dell’altro da sè, di uno fra gli innumerevoli possibili mondi oggetto di sguardo e dunque di narrazione. Ludica quanto penetrante esplorazione della capitale, con la libertà e la curiosità dell’osservatore, tuffo nelle strade e negli interni per carpirne le meraviglie più nascoste, l’opera appare oggi fra le più moderne di Fellini per la prospettiva storico-impressionistica in cui ci viene presentata la città, quasi un museo antropologico e dell’immaginario (Roma antica imperiale, “la grande madre-puttana” (cit.), il Vaticano, la truculenza popolare, il traffico caotico, l’osteria, ecc.) cui poter fare ancora visita senza che l’incanto sia mutato. Ed è forse qui che l’immagine del femminile come mondo “altro”, sconfinato e misterioso, veicolo di estasi e di trascendenza ma anche di consumazione delle energie individuali fino allo sfiancamento e all’autodistruzione, sembra comporsi nel quadro più felice, vitale e liberatorio. Mi riferisco in particolare alla visita ai due bordelli la cui franchezza e fisicità della rappresentazione potrebbero infastidire certi spettatori delicati. Personalmente al contrario, lo spettacolo di quelle immense prostitute mascherate, iperespressive, conturbanti creature di carne provenienti da un altro pianeta, darebbe finalmente l’impressione di una piena e salutare accettazione dell’alterità depurata dall’inferno della più irrequieta autobiografia, come se l’autore non vi entrasse in tutta la sua contrastata soggettività, rimanendo semplicemente stupito, basito, innamorato a contemplare... Significativo poi il notturno finale, dove tutta la follia di quelle bande di motorini intente a girovagare vorticosamente intorno ai monumenti del centro storico, si comunica all’occhio partecipe della macchina da presa, anch’essa impazzita e contagiata dal movimento. La sequenza si potrebbe leggere ancora una volta come contrapposizione vecchio-nuovo in una notte-futuro che avanza e che tutto avvolge, dai connotati (triviali: si veda la copiosità dei motorini e l’impressione grottesca di cafoneria esibita generale) di movimento meccanico e fagocitante (la strada, l’asfalto, la città bruciati, consumati dal motore e dalle ruote dei veicoli che li attraversano) e di spersonalizzazione (i volti dei motociclisti non affatto distinguibili), dove rimangono come interrogativi lanciati nel vuoto e poli arcani di richiamo, le statue lasciateci da tempi ignoti. Pazzesco davvero, straniante e ammaliante questo connubio! Dunque la notte classicamente intesa come perdita di orientamento e incubo (futuribile) cui è impossibile resistere, ma anche notte come spunto per una dilatazione temporale sensoriale e immissione estatica nel fuori-tempo
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