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VENEZIA 2024 Orizzonti

Scandar Copti • Regista di Happy Holidays

“Credo molto nel processo di liberazione e credo davvero che nessuno sia libero finché non lo sono tutti”

di 

- VENEZIA 2024: Il regista palestinese illustra i suoi metodi di scrittura e di ripresa e si interroga su concetti come la moralità e la normalizzazione dell'oppressione

Scandar Copti • Regista di Happy Holidays
(© Fabrizio de Gennaro/Cineuropa)

Il regista palestinese Scandar Copti ha presentato il suo secondo lungometraggio (e debutto alla regia da solo), Happy Holidays [+leggi anche:
recensione
intervista: Scandar Copti
scheda film
]
, in concorso nella sezione Orizzonti a Venezia. Con lui abbiamo parlato, tra l'altro, di moralità e normalizzazione dell'oppressione.

Cineuropa: Happy Holidays si basa su una comunità molto ampia ma anche molto unita: ogni azione e ogni persona hanno un'influenza significativa all'interno di questa rete. Come sceneggiatore e regista, come ha iniziato a concettualizzare e costruire questa serie di personaggi?
Scandar Copti:
Di solito seguo un processo che nasce da quello che io chiamo un assillo: qualcosa che mi infastidisce e mi colpisce a livello personale. E inizio a indagare, a cercare di capire perché sta accadendo e a scomporlo in tutti i suoi elementi. Una volta che mi addentro in questo processo, i personaggi iniziano ad apparire. Tutto ciò che si vede nel film è basato su qualcosa che è accaduto nella realtà. Quindi, ho assorbito quelle storie e mi hanno fatto sostanzialmente impazzire. In qualche modo ho capito che ha a che fare con il senso di moralità che è in noi. Ecco perché, come lei ha detto, una singola persona può influenzare l'intero gruppo che condivide la stessa morale. Insomma, diciamo che la moralità lega, ma acceca anche, giusto?

Non inizio descrivendo un gruppo di personaggi, ma partendo dal personaggio che soffre di più. Cerco di capire chi è il più colpito, quello diventa il protagonista. In questo caso, abbiamo quattro protagonisti. Ho bisogno di creare la loro sofferenza e di crearla attraverso le relazioni e le dinamiche di potere fino ad arrivare a un punto in cui capisco che viene trasmessa a tutti i livelli: emotivo, psicologico e anche intellettuale. È il processo più divertente e allo stesso tempo più frustrante che ogni regista si trova ad affrontare, perché ha a che fare con il proprio narcisismo. Di solito mi preoccupo molto della sceneggiatura perché monto i miei film e mi piace montare quasi senza pensare. Quindi, per il mio modo di lavorare, ho bisogno di una sceneggiatura che imiti la realtà.

Questa imitazione della realtà influisce anche sul suo modo di dirigere e di lavorare con gli attori?
Anche il processo di lavorazione del film è stato molto insolito. Tutte quelli che si vedono nel film sono attori non professionisti. Sono persone reali che provengono dal background professionale dei personaggi che interpretano. Per esempio, Miri è una vera infermiera e Walid è un vero medico. Lavoro in un sistema che ho progettato e che si basa sulla nostra capacità di reagire con emozioni reali alla finzione. Alle persone che vedete non è mai stato dato un copione. Non sapevano di cosa si trattasse. Hanno seguito un processo molto lungo che li ha portati a sperimentare, attraverso un gioco di ruolo, le storie e le relazioni dei loro personaggi all'interno della vera ambientazione del film. In pratica è come un documentario, ma io tiro le fila dall'alto, manipolando tutto.

Non fornisce risposte prescrittive alle questioni che solleva, ma affronta da vicino molti concetti riguardanti l'autonomia del proprio corpo e la disciplina sociale del corpo, in particolare per le donne.
Credo molto nel processo di liberazione e credo davvero che nessuno sia libero finché non lo sono tutti. E per tutti intendo l'elemento più oppresso di questa catena che sta lottando per la libertà. Nel mio caso, sono le donne. Sono oppresse politicamente, culturalmente e socialmente, quindi sono complessivamente le più oppresse. Penso che solo attraverso la liberazione delle donne si possa raggiungere la vera liberazione, e questo ha a che fare con la mentalità che le persone devono sviluppare, perché non si può scegliere da cosa essere liberati.

C'è una macro-relazionalità nel dramma che si consuma tra famiglia e amici, ma ci sono anche momenti che evidenziano questioni e fenomeni iper-specifici e iper-locali. Sentiamo le sirene dei missili, ma vediamo anche l'integrazione dei simboli militari israeliani nella vita quotidiana.
Credo che quello che cerco di mostrare in tutto il film sia il concetto di causa ed effetto. Ogni cosa ha le sue ragioni, una chiara motivazione e un chiaro processo che porta a ciò che sta accadendo. In uno dei capitoli con Miri, non capiamo come funzionano le cose. Potremmo essere pronti a giudicare e a dire: "Oh, questa è una persona orribile che fa questa cosa orribile", giusto? Ma poi, nel capitolo di Fifi, capiamo come funziona l'indottrinamento attraverso la scuola. Allora è più chiaro che si tratta di esseri umani buoni che sono intrappolati in un sistema corrotto che li progetta e li programma con tutte queste forze diverse per diventare un essere umano specifico con una moralità molto specifica che persegue un preciso scopo.

(Tradotto dall'inglese)

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