Recensione: Profumo di tè
- BERLINALE 2024: Abderrahmane Sissako cancella i confini tra Africa e Asia, sogno e realtà, presente e passato, con un film enigmatico e malinconico sull'amore e la libertà
"Trovare la felicità e sentirsi liberi di vivere la vita che si sogna nel profondo". Dopo aver scalato le vette del cinema mondiale con Timbuktu [+leggi anche:
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scheda film] (in concorso a Cannes nel 2014 e candidato all'Oscar per il miglior film straniero nel 2015, tra gli altri successi), il regista mauritano Abderrahmane Sissako si è lanciato in un viaggio ampio e molto personale con Profumo di tè [+leggi anche:
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scheda film], presentato in concorso alla 74ma edizione della Berlinale. Al tempo stesso minimalista e alla ricerca di una vasta universalità, ancorato a una trama molto semplice (l'amore, un incontro) ma complesso nelle sue digressioni, di indiscutibile bellezza formale, che non nasconde pertanto gli artifici del suo processo di realizzazione, il film si rivela un mondo cinematografico a parte, che richiede pazienza e un approccio conciliante da parte del pubblico.
Questa strana avventura (al confine tra onirismo e realismo, con diverse incursioni nel passato) è ambientata in un pianeta globalizzato e ruota attorno all’ivoriana Aya (Nina Mélo), che ha voltato le spalle alla sua patria (e a un matrimonio rifiutato all'ultimo momento) per recarsi in Cina, precisamente nel quartiere "Chocolate City" di Canton. Qui, nella boutique di Cai (Chang Han), impara le finezze delle cerimonie del tè, avviando anche una relazione segreta con il suo capo divorziato che ha lavorato a Capo Verde, in Africa, per cinque anni due decenni prima. Intorno a loro, come gocce di profumo che aromatizzano la storia, gravitano una miriade di personaggi secondari e di attività commerciali (in particolare un parrucchiere in cui regnano i ritmi afro) situate nelle vicinanze della famiglia di Cai (la sua ex, il figlio ventenne, i suoceri, ma anche la figlia nascosta di una precedente vita in Africa).
Prima viene l'atmosfera, poi il gusto e infine le sensazioni. Proprio come le varie fasi della cerimonia del tè, Abderrahmane Sissako presta la massima attenzione (anche in termini estetici) a ogni sequenza, a ogni movimento e a ogni parola pronunciata, per quanto poco importanti possano sembrare a prima vista, in modo da creare momenti di respiro e un clima di esperienza che solleva domande e rimanda risposte. Manifesto delicato e idealista ("guardate il mondo in modo diverso") a favore dell'armonia tra gli esseri viventi ("consentiamoci di essere felici") e del tempo necessario affinché il futuro prenda forma su un pianeta dove l'incontro tra le culture è già in atto, ma laddove alcuni conti del passato devono ancora essere sistemati (bugie e rancore), il film cerca "il profumo originale", quello dell'amore e della felicità. Un desiderio di perfezione che il cineasta traspone in modo indiretto (attraverso varie sottotrame), addirittura criptico ("ci sono certe cose di cui non so come parlare") e con un ritmo così pacato che rischia di lasciare qualche spettatore un po' perplesso.
Prodotto dalle società francesi Cinéfrance Studios e Archipel 35 e la società mauritana Dune Vision, Profumo di tè è coprodotto da Gaumont (che guida le vendite internazionali), Red Lion, House on Fire, House on Fire International (Taiwan), Wassakara Productions (Costa d’Avorio) e Arte France Cinéma.
(Tradotto dal francese)
Photogallery 21/02/2024: Berlinale 2024 - Black Tea
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© 2024 Dario Caruso for Cineuropa - dario-caruso.fr, @studio.photo.dar, Dario Caruso
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