Giordano Gederlini • Regista di Entre la vie et la mort
"Come nelle tragedie, la violenza si impone sui miei personaggi"
- Incontro con lo sceneggiatore e regista per parlare del suo giallo ambientato in una Bruxelles a tratti spettrale con protagonista un padre sfinito condannato alla violenza
Abbiamo incontrato Giordano Gederlini, che presenta al Brussels International Film Festival il suo nuovo film, Entre la vie et la mort [+leggi anche:
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intervista: Giordano Gederlini
scheda film]. Si tratta di un thriller angosciante e un omaggio alle regole dell'arte, ambientato in una Bruxelles notturna, post-industriale e a tratti spettrale, infestata da Antonio de la Torre, un padre sfinito condannato alla violenza.
Cineuropa: Quali sono le origini di questo progetto?
Giordano Gederlini: Avevo molta voglia di affrontare il genere del thriller poliziesco. Avevo esplorato un po' questo universo con Duelles [+leggi anche:
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intervista: Olivier Masset-Depasse
scheda film] e anche con Tueurs [+leggi anche:
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scheda film], un genere che non si vede spesso nel cinema francese o belga. Volevo entrare in questo mondo con un personaggio un po' isolato, che forse mi assomiglia un po', uno straniero che vive a Bruxelles. Sognavo un giallo urbano, con l’obiettivo di esplorare la città in cui vivo da nove anni come se fosse un vero e proprio set cinematografico, e questo sembrava adattarsi bene alla storia.
Chi è Leo Castañeda, il protagonista del film?
Leo Castañeda è uno spagnolo che vive a Bruxelles. Guida un treno della metropolitana e lavora nel mondo sotterraneo della città. Una sera vive una tragedia. Mentre è ai comandi della sua metropolitana, vede un giovane buttarsi sui binari. Successivamente si scopre che è suo figlio. Da lì inizia una sorta di indagine per scoprire in che tipo di guaio si fosse cacciato il figlio.
C'è un altro motivo abbastanza classico nei gialli, quello dell'uomo senza passato, e questo è un aspetto che mi interessa molto. Mi è venuta l'idea di un personaggio un po' isolato, con un passato spezzato, demolito, che ha una crepa dentro di sé, e volevo iniziare la storia con questo. Un uomo di cui non sappiamo molto, di cui scopriamo la storia poco a poco.
Il protagonista si trova in uno stato particolare, tra la vita e la morte? Quando compare la sua crepa la storia si mette in moto.
Sì, si trova in uno strano limbo. Ho iniziato come sceneggiatore e amo i giochi di scrittura dei polizieschi, che non sempre sono possibili nei film più sociali, nel cinema del reale. Con i film polizieschi ci si può divertire a inventare una storia un po' più tormentata, in cui gli spettatori si sentono spesso due passi indietro, ed è proprio questo gioco di scrittura che mi ha attirato nell'esplorare questo universo. Sappiamo molto poco di Leo, quindi assistiamo allo sviluppo di un personaggio, ma anche alla sua caduta in una storia troppo violenta.
C'è anche una riflessione su una paternità sofferente?
Il mondo del thriller poliziesco pone anche una domanda esistenzialista sul tempo che ci rimane su questo pianeta, soprattutto se dobbiamo risolvere un caso particolarmente violento a rischio di perdere la vita. Chi ci lasciamo alle spalle? Cosa ci siamo persi nella nostra vita personale? Quali rimpianti potremmo avere quando la morte bussa alla nostra porta in modo così brutale? Volevo che la gente si chiedesse quanta umanità sarebbe rimasta ai miei personaggi di fronte a un simile caos.
Il film si interroga anche sul modo in cui i figli riproducono il percorso dei genitori, a volte anche i loro fallimenti.
Sì, c'è questa eredità. Senza rivelare troppo, ci rendiamo conto che il padre voleva imporre la sua passione al figlio, mentre il figlio non era interessato. Sono personaggi piuttosto fragili. In effetti, penso che sia un film un po' bonario, un po' anni '80. Mi piace molto l'universo musicale di quell'epoca e il lavoro visivo che viene svolto in quel tipo di film, ma questo non significa che sia un film macho. Si tratta di uomini un po' logori, stanchi, cinquantenni che non hanno voglia di combattere, ma che a un certo punto arrivano a situazioni di conflitto in cui non hanno più scelta. Non è un poliziesco che gioca sul ruolo del duro, è un film che esplora la sensibilità dei suoi protagonisti, anche se ci sono diverse scene d'azione violenta.
C'è una certa riluttanza verso la violenza.
Sì, la violenza è imposta, d'altronde è quello che succede sempre nelle tragedie. Il destino impone una certa brutalità a cui bisogna sopravvivere.
(Tradotto dal francese)
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