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C'era una volta il Giro d'Italia

Il Giro c'è sempre, ma non c'è più l'Italia. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

martedì 20 maggio 2025 - Focus

Qualcuno dice che sono più esperto di sport che di cinema e letteratura. C’è, solo, una parte di vero. Sì, frequento lo sport. Da cinquant’anni la mia prima lettura quotidiana è la “Gazzetta”. I lettori di MYmovies ricorderanno il mio racconto, romantico, con sentimento, sulla Milano Sanremo del 1946, che segnò la ripresa dello sport e del mondo. Scrivevo:

“A Milano. In piazza Castello, il 19 marzo, san Giuseppe, si raduna il movimento del ciclismo, per la Milano-Sanremo, 37esima edizione: i ciclisti, giovani di tutti i paesi che la Guerra ha messo contro, e non ne avevano voglia. Sono commossi, non si vedono da sei anni, alcuni si abbracciano, altri... non ci sono più. C’è Gino Bartali, che durante la guerra, nascosti nel telaio, portava documenti che salvavano vite degli ebrei, che sarebbe stato nominato, anni dopo, “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem, il sacrario della Memoria di Gerusalemme. C’è Fausto Coppi, che era stato prigioniero degli inglesi in Tunisia. La guerra aveva dunque fermato il mondo e aveva fermato lo sport. Non c’erano stati Olimpiadi, campionati mondiali di calcio, di ciclismo e di nessuno sport, campionati europei e nazionali, non si erano corsi il Giro e il Tour. Tutto sospeso. Ma ecco quella Milano-Sanremo. L’evento, il primo da cui tutto ricominciava: e non solo le grandi manifestazioni di sport dette sopra, ricominciava l’Europa. Quel raduno sanciva la normalità, soprattutto la pace, ritrovata.”
Dunque Milano Sanremo istituzione del cuore italiano. E poi il Giro d’Italia, ancora più importante. Ma sì, una leggenda. 

Per oltre un secolo il “Giro” ha rappresentato la Repubblica come nessun’altra manifestazione, o evento, tradizione, enciclopedia, poema, serie, catalogo, passaparola e altro ancora. C’è storia, dolore, sentimento e cultura. Purtroppo devo correggere il concetto: “c’era” storia, dolore eccetera. Adesso tutto questo non c’è più. 

La Rai sostiene il Giro come meglio non potrebbe. La tappa viene trasmessa integrale, inoltre c’è un’anteprima e poi un processo alla tappa. Significa, tutti giorni, 6/7 ore di trasmissione. I cronisti Pancani e Garzelli, fanno miracoli di dialettica, non è facile raccontare per tutte quelle ore. Opportuno è l’intervento di Fabio Genovesi, che non è uno specialista ma uno scrittore vero. Interviene quando il Giro attraversa gli eventi storici e le meraviglie artistiche dell’uomo e della natura: scenari di battaglie, di epoche antiche, di chiese, monasteri e castelli, sculture e mosaici, e poi città. E davvero, nel percorso lungo lo stivale, le occasioni non mancano. Arte e cultura, in Italia. Figuriamoci. Un intermezzo utile e prezioso.

Il problema è il materiale umano. Parlo di italiani.  Parlo del Giro “adesso” .
Fino a qualche anno fa il Giro d’Italia era soprattutto “nostro”, nel senso dei campioni, che lo vincevano, magari più volte. Farò i nomi nella seconda parte dell’editoriale.  Adesso sto all’edizione 2025. I nomi che comandano sono Del Toro, Bernal, Yates, McNulty, Roglic, Ayuso, e posso continuare con stranieri senza soluzione di continuità.
Gli italiani. Siamo rappresentati da Giulio Ciccone, 29enne, uno che “si fa vedere in corsa”, che non vince quasi mai e che viene celebrato dai cronisti se arriva fra i primi dieci. Diego Ulissi, 35 anni, “uno dei più rispettati in gruppo”, che è stato “beatificato” perché ha indossato per un giorno la maglia rosa. Certo i cronisti devono dare un senso agli italiani, e così si impegnano con buona volontà in quel compito, con argomenti diversi dalla realtà della corsa. Non è facile per loro.

Ma c’era un tempo…

                                                  FINE DELLA PRIMA PARTE


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